Annalisa Lomonaco
Guida i suoi soldati in battaglia a cavallo di un leone ruggente, e combatte con una mano sola mentre con l’altra tiene alta la bandiera del suo popolo, oppresso dalla dominazione dei Romani.
Lui è Simon Bar-Kokhba, Simone Figlio della Stella, eroe ebreo tardivamente riscoperto agli inizi del ‘900 dal movimento sionista di recente costituzione. A metà dell’ottocento esce un romanzo storico Le rovine di Beitar, dove l’autore inventa di sana pianta quella simbolica immagine di Bar-Kokhba che cavalca un leone. Non è quell’opera a dar vita alla glorificazione dell’eroe ebreo, ma piuttosto un discorso tenuto da Max Nordau, fondatore dell’Organizzazione Sionista Mondiale, che propugna l’idea di un “dimenticato ebraismo muscolare”: l’esercizio fisico inteso come metodo educativo per “raddrizzare le nostre schiene, fisicamente e caratterialmente”.
E quale migliore esempio per i giovani ebrei che vivono sparsi per l’Europa se non quel potente eroe che cavalca un leone, “l’ultima incarnazione nella storia mondiale di un ebreo bellicoso e militante”.
Un eroe “recente” quindi, questo Simon Bar-Kokhba, nonostante la sua strenua lotta contro i Romani durante la terza e definitiva guerra giudaica, che si conclude con la sconfitta degli ebrei nel 135 d.C. Su di lui ci sono pochissime notizie, e le fonti ebraiche dell’epoca quasi non lo menzionano.
Eppure Simon si conquista quel cognome “Figlio della Stella” in riferimento a una citazione biblica dove il Messia viene indicato come una stella, e d’altronde lui appartiene alla stirpe di David, dalla quale, secondo tradizione, sarebbe nato il Messia.
E’ il rabbino Akiva che lo proclama Messia, nonché principe d’Israele e re di Giudea, dopo qualche battaglia vinta contro l’esercito romano. Ma quelli sono tempi difficili per gli ebrei che, sottoposti all’autorità di Roma, non adottano una linea comune e sono divisi in diverse scuole di pensiero, guidate da rabbini che non vanno d’accordo.
Per rispondere ad Akiva, il rabbino Yochanan ben Tornata, in merito alla proclamazione di Bar-Kokhba, afferma “l’erba crescerà sulla tua faccia prima che arrivi il Messia”.
In un contesto così divisivo, con un’autorità ebraica debole, nel 131 l’imperatore romano Adriano prende due decisioni che scateneranno la rivolta dei giudei: la prima è quella di vietare la pratica della circoncisione, considerata dai romani un’usanza barbara, ma che per gli ebrei è obbligatoria per mantenere il patto tra Dio e il suo popolo; la seconda è la decisione di costruire una colonia romana, Aelia Capitolina, sulle rovine di Gerusalemme, distrutta nel 70 d.C. durante la prima guerra giudaica. Quello che però viene considerato un vero e proprio sacrilegio è il progetto di edificare un luogo di culto dedicato a Giove là dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme.
Senza una vera e propria guida politica, gli ebrei si organizzano in bande che compiono dei “crimini politici”: si ribellano ad Adriano praticando furti e omicidi, in una sorta di guerriglia contro l’esercito romano, invincibile in campo aperto.
Simon Bar-Kokhba è quasi certamente a capo di una di queste bande e con il tempo, grazie al suo carisma, diviene la figura di riferimento dei ribelli. E’ un tipo duro, che pretende dai suoi seguaci una prova di coraggio raccapricciante: devono amputarsi da soli il dito di una mano, oppure devono dimostrare la propria forza sradicando un albero di cedro. E’ talmente convinto del suo valore che quando va in battaglia non prega per la benevolenza di Dio, ma piuttosto chiede “O Maestro dell’universo, non c’è bisogno che tu ci assista [contro i nostri nemici], ma neanche che ci scoraggi!”.
L’adesione alla ribellione contro i romani non è generalizzata: i seguaci di Bar-Kokhba sono prevalentemente gli abitanti delle campagne e cittadini di ceto medio-basso, e molti rabbini in realtà lo osteggiano, definendolo “figlio della menzogna”, un personaggio “irrazionale e irascibile nella condotta”.
Negli anni della rivolta, tra il 132 e il 135 d.C, il “figlio della Stella” se la prende anche con i cristiani che non si uniscono alla ribellione. Secondo lo scrittore Giustino, filosofo e martire cristiano, Bar-Kokhba puniva, torturava e uccideva tutti quelli che “non disconoscessero Gesù come Messia e maledicessero il suo nome”.
La tecnica della guerriglia favorisce i ribelli, che ottengono diversi successi, mentre il governatore romano Rufo non pare all’altezza della situazione. Bar-Kokhba prova addirittura a riconquistare Gerusalemme e Adriano decide di sostituire Rufo con Giulio Severo, valoroso generale richiamato dalla Britannia nel 133 proprio per sconfiggere, e questa volta definitivamente, i ribelli giudei che ancora non si arrendono alla grande potenza di Roma.
Giulio Severo prima riesce a isolare le diverse unità dei ribelli, e le affronta ad una a una: vuole sfinire gli avversari e li indebolisce ricorrendo anche alla immediata uccisione di tutti i prigionieri, finché Bar-Kokhba si ritira nella fortezza di Betar (oggi il sito è conosciuto con il nome arabo Khirbet al-Yahud, “rovina degli ebrei”).
Le rovine della fortezza di Betar
I Romani assediano la cittadella, dove hanno trovato rifugio migliaia di persone. E’ il 135 d.C, e nel giorno di lutto ebraico per la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme le legioni di Giulio Severo sferrano l’attacco finale.
E’ un massacro. I Romani “continuarono a uccidere finché i loro cavalli non furono immersi nel sangue fino alle narici”. Adriano ordina che i corpi rimangano insepolti, la Giudea è messa a ferro e fuoco, anche il suo nome deve essere cancellato e da allora si chiamerà Syria Palestina, Gerusalemme si trasforma nella colonia Aelia Capitolina, dove a nessun giudeo è permesso entrare, pena la morte.
La rivolta di Bar-Kokhba, morto durante la battaglia di Betar, costa agli ebrei, secondo il racconto di Cassio Dione, 580.000 morti, la distruzione di mille villaggi e cinquanta città, e sancisce la definitiva dispersione di quel popolo .
Soprattutto è la fine del sogno di uno stato indipendente. Sogno che rinasce solo alla fine dell’800, quando la figura di Bar-Kokhba, non troppo apprezzata da molti suoi contemporanei (e neanche da alcuni intellettuali ebrei odierni), ritorna prepotentemente alla ribalta come simbolo della rinascita di una nazione indipendente.
(Fonte: vanillamagazine.it)
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