Da che mondo è mondo l’uomo ha sempre cercato di creare la vita. Forse per sentirsi simile a Dio. Naturalmente non c’è mai riuscito, ma ciò non toglie che ci abbia sempre provato.
Ai robot ci hanno abituato i film di fantascienza, presentandoceli, in certi casi, come qualcosa di perfetto e in certi altri come una goffa ma efficiente imitazione dell’uomo. Ma un film è un film. La realtà è ben più articolata.
Oggi giorno, nell’era dell’informatica, il robot è rappresentato dal calcolatore elettronico, (erroneamente chiamato “cervello”), ma nell’antichità era visto come una sorta di giocattolo magico che stregoni, buoni amici del diavolo, avevano creato.
A quei tempi si parlava infatti di statuine magiche che un soffio di vita, insieme ad astruse formule magiche, avrebbe dotato nientemeno che di anima. Favole. Tuttavia di questi strani “giocattoli” ne sono comparsi parecchi nel corso dei secoli passati. Alcuni di essi hanno anche acquistato una discreta fama.
Naturalmente un moderno giocattolo elettronico per bambini è molto più complesso e, direi, più completo di quelli dei tempi passati. Bisogna dire però che date le tecnologie dell’epoca, siamo di fronte a veri gioielli di meccanica.
Nel 1700, ad esempio, un animale meccanico stupì le platee.
Si trattò di un’anitra meccanica costruita da un certo Jacques Vaucanson, un uomo che fu un misto di genio e sregolatezza. Egli si divertiva a costruire macchine assurde e perfettamente inutili salvo una lodevole eccezione; egli costruì il primo telaio automatico per l’industria della seta. Del resto aveva progetti molto ambiziosi, voleva infatti costruire un uomo artificiale. Inutile dire che non ci riuscì!
Ma torniamo alla nostra anitra, che al suo apparire aveva veramente strabiliato i contemporanei, poiché aveva caratteristiche uniche: mangiava come un’anitra vera e, meraviglia delle meraviglie, espelleva il cibo dopo averlo digerito, proprio come avrebbe fatto un’anitra vera. La cosa ovviamente fece un notevole scalpore anche perchè Vau-canson si guardava bene dallo spiegare come tutto ciò avvenisse. II mistero parve essere svelato nel 1800 allorché il meccanico che dovette porre rimedio ad un guasto dell’animale ebbe a dire: “Con mio grande sbalordimento mi sono accorto che l’illustre maestro non si era fatto scrupolo di ricorrere a un artificio degno di uno spettacolo di prestidigitazione”. Insomma, il cibo non finiva affatto nell’intestino ma veniva convogliato in un tubo che era posto lungo il collo dell’automa. L’impasto che veniva presentato come il risultato finale della digestione, era preparato in precedenza, molto probabilmente dallo stesso costruttore. Dopo un certo chiasso, però, l’anitra venne ben presto abbandonata dal suo creatore e passò da un proprietario all’altro. Dopo essere comparsa nelle grandi mostre di Londra, Strasburgo, Amburgo, Norimberga, venne abbandonata in qualche tetro solaio. Restaurata nei primi anni dell’800, conobbe un breve periodo di effimera gloria allorché Napoleone volle acquistarla. Purtroppo per lui il proprietario non volle venderla. Dopo la morte di quest’ultimo la nostra anitra finirà nuovamente in un solaio. Ma non e’ finita qui. Viene nuovamente riparata e presentata, con onore, alla scala di Milano nel 1844. Dopo di che il buio fu totale. Della sua “morte” nessuno sa nulla.
Naturalmente l’anitra non è che uno dei tanti automi che hanno fatto parlare di sé generazioni di studiosi e di curiosi. Gli automi, poi, non sempre hanno sembianze umane od animali. Anche i moderni distributori automatici di bevande sono meccanismi abbastanza complessi e sono da considerarsi automi a tutti gli effetti; inoltre hanno una storia molto antica. II più antico distributore automatico che conosciamo, e che è conservato al British Museum di Londra, è una macchina usata nella città di Sparta nel 200 a.C. circa. Introdotte due monete nella fessura apposita, essa forniva, dal relativo rubinetto, una misura di ottimo vino greco.
Non si finisce mai di imparare. E’ proprio vero: nulla è nuovo sotto il sole, recita l’Ecclesiaste!
Questi distributori di bevande a pagamento li troviamo anche (dopo essere stati perfezionati dai romani) circa duemila anni fa in tutti i centri principali dell’Egitto, della Grecia e della penisola italica, adibiti alla distribuzione mercenaria oltre che di vino, di acqua calda e profumi.
Di congegni ingegnosissimi ne troviamo del resto in tutte la parti del mondo antico, dai Maya agli Aztechi agli Incas anche prima che tra Greci ed Egizi: dispositivi adibiti ad aprire “magicamente” porte di templi, a far comparire dal sottosuolo altari e simulacri di dei.
Dalla Cina ci arriva la notizia dell’esistenza, intorno al 2000 a. C., di veri capolavori meccanici: draghi che sputavano fuoco e agitavano le ali, usignoli che cantavano e volavano, belve che camminavano.
Sempre dalla Grecia, invece, abbiamo notizia di un’aquila e di una colomba di legno, capaci di volare (?) e una chiocciola semovente che a malapena, ci dicono, si distngueva da quelle vere. Veri fenomeni costruiti nel 400 a.C. dal filosofo greco Archita.
Per venire a tempi più vicini a noi, vi è da segnalare un automa a sembianze umane costruito da Albert von Bollstädt. il monaco benedettino più noto col nome di Alberto Magno.
Il robot in questione era talmente perfetto, pare, che era facile prendere un abbaglio. “Egli” apriva la porta ai visitatori, ne chiedeva il nome, rispondeva ed annunciava la visita al suo padrone. Fu distrutto dal grande allievo di Alberto Magno, Tommaso D’Acquino, perchè considerato da quest’ultimo come opera del demonio. E anche perchè – a quanto pare – II suo cicaleccio lo disturbava nel lavoro!
A quei tempi, oltrettutto, c’era poco da scherzare, bastava molto meno per finire sul rogo.
Sempre In quel periodo troviamo “un uomo dì ferro” costruito da Ruggero Bacone e un’aquila meccanica dovuta a Regiomontanus.
Una citazione a parte merita, senza dubbio, un automa che Leonardo da Vinci costruì in onore dì Luigi XII, un leone mansueto che attraversava la sala del trono, si accucciava davanti al sovrano, si apriva il petto con gli artigli mostrando così lo stemma della corona di Francia.
Un altro italiano, Juanelo Turriano di Verona, fabbricò per Carlo V d’Austria un vero esercito composto da fanti, cavalieri, e, addirittura, navi semoventi, attirandosi per molto tempo l’attenzione di tutta I’Europa.
Un impulso notevole al proliferare di automi, lo dette, inoltre, la tecnica costruttiva dell’orologeria. Pensate che nella cattedrale di Strasburgo è ancora in funzione un gallo meccanico che canta tre volte e agita le ali ad ogni ora e che è stato revisionato per la prima volta dopo ben 500 anni.
Quello che, però, merita senz’altro l’oscar della notorietà è indubbiamente il “Turco”, famoso giocatore di scacchi costruito da Wolfgang von Kempelen. Si tratta di un automa che sconfisse tutti coloro che giocarono contro di lui; tra gli altri: Napoleone e Federico il grande.
Si dice che il famoso scrittore Edgar Allan Poe. scoprisse dentro il “Turco” (così chiamato per il modo nel quale era vestito) il famoso e grande scacchista francese Mouret il quale, attraverso un complicato sistema di leve, faceva muovere il robot. Sarà vero?
Von Kempelen apri la sua macchina davanti ad un folto gruppo di studiosi i quali non rilevarono nulla di strano. Purtroppo anche questa macchina, come molte altre, andò distrutta durante un incendio al museo di Filadelfia dove si trovava esposta. Prima che la scienza moderna potesse esprimere il suo parere!
Oggi ci stupiamo davanti a questi perfetti meccanismi e non a torto, anche se ai giorni nostri possiamo usufruire di meccanismi ben più sofisticati di quelli descritti fino a questo momento. Oggi l’elettronica ha fatto passi da gigante. Vedi per esempio le armi che individuano e colpiscono da sole il bersaglio, i piloti automatici degli aerei; per non parlare degli elaboratori elettronici che sono in grado di elaborare in pochi attimi, milioni, anzi, miliardi di dati che se eseguiti manualmente richiederebbero gli anni di vita di un uomo.
Ma rimaniamo ai nostri vecchi robot.
C’è un episodio di giorni abbastanza vicini ai nostri che merita di essere ricordato. Si tratta di due tartarughe meccanico-elettriche costruite dal neurologo Grey Walter. Gli automi del professor Walter erano fomiti dì cellule fotoelettriche tramite le quali si “nutrivano” di luce, superando i più complicati ostacoli. Walter costruì per loro una “tana” fortemente illuminata dove le tartarughe si trattenevano fino a che non avevano fatto il “pieno”. Pare addirittura, e non so quanto sia vero, che lo studioso abbia fatto un curioso esperimento con i suoi animali meccanici. Dopo aver abituato i suoi automi a rispondere a un segnale acustico per giorni e giorni, colpi con una violenta pedata una delle due tartarughe. Dopo alcuni giorni di questo trattamento la tartaruga in questione, non ci si crede, dopo il segnale acustico anziché’ correre al richiamo, si nascose e fu trovata sotto un mobile dove, apparentemente, si era rifugiata. (Che abbia avuto paura?) Certo è abbastanza difficile credere a questi episodi, ma pare che siano realmente avvenuti.
Come abbiamo visto in questa breve rassegna, gli automi o i meccanismi a orologeria o, ancora, le macchine, hanno affascinato generazioni di eccentrici inventori i quali, probabilmente, erano mossi solo dal semplice intento di stupire i propri con temporanei. Oggi guardiamo a tutto questo con un pizzico di compassione, diamo a quelle antiche ingenuità, a quei giochi da bambini, un’importanza minima, eppure senza quei “temerari” e quei “pazzi” forse nessun progresso sarebbe avvenuto.
Probabilmente. senza quelle sane e, in fondo, innocue curiosità l’umanità sarebbe oggi un insieme di gruppi di umanoidi dimoranti su alberi spogli o in disadorne caverne in attesa del domani.
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