di Claudio Elidoro
Pubblicato il 03/05/2017
Un recentissimo studio, interpretando le incisioni megalitiche di Gobekli Tepe come accurate registrazioni di osservazioni astronomiche, propone l’interessante collegamento con il cosiddetto evento del Dryas recente, responsabile dell’improvviso e intenso abbassamento di temperatura verificatosi circa 12 mila anni fa. Un collegamento che, inevitabilmente, riporta con forza alla ribalta una teoria astronomica proposta negli anni Ottanta da Victor Clube e William Napier.
Un recentissimo studio, interpretando le incisioni megalitiche di Gobekli Tepe come accurate registrazioni di osservazioni astronomiche, propone l’interessante collegamento con il cosiddetto evento del Dryas recente, responsabile dell’improvviso e intenso abbassamento di temperatura verificatosi circa 12 mila anni fa. Un collegamento che, inevitabilmente, riporta con forza alla ribalta una teoria astronomica proposta negli anni Ottanta da Victor Clube e William Napier.
Il primo tempio
La scoperta delle meraviglie archeologiche di Gobekli Tepe, “collina panciuta” in turco, è davvero recente. Nel 1963 il gruppo di ricerca turco-statunitense guidato da Peter Benedict notò cumuli di frammenti di selce, chiaro segno di attività umana del Neolitico, e grossi lastroni di pietra interrati, ma interpretò il sito come un insediamento dell’età della pietra al quale si era in seguito sovrapposto un cimitero, prima bizantino e poi islamico. Trent’anni più tardi, sollecitati dalla scoperta occasionale di pietre dalla strana forma che emergevano dal terreno, i responsabili del museo di Urfa, cittadina turca al confine con la Siria, contattarono la sede di Istanbul dell’Istituto archeologico germanico, attivo con altri scavi nella regione. Fu così che nel 1994 l’archeologo Klaus Schmidt, dopo un primo sopralluogo a Gobekli Tepe, decise di procedere immediatamente agli scavi.
Lentamente, cominciò ad emergere dal terreno un maestoso santuario megalitico, con muri in pietra grezza realizzati a secco e intervallati da massicci pilastri in calcare a forma di T alti 3 metri a delimitare quattro recinti circolari di una quindicina di metri. Nel mezzo di ciascun recinto, poi, si ergono due pilastri ancora più imponenti, ciascuno dei quali raggiunge i 5 metri di altezza e pesa circa 15 tonnellate. A rendere ancora più straordinaria l’opera megalitica contribuisce il fatto che tutti quegli impressionanti lastroni, posizionati con cura, furono abilmente intagliati impiegando solamente strumenti in pietra, visto che quella popolazione preistorica non aveva ancora sviluppato nessun utensile metallico. Numerose datazioni al radiocarbonio, per esempio quelle di Olivier Dietrich e Klaus Schmidt pubblicate nel 2010, hanno permesso di far risalire la struttura a 11.500 anni fa. Questo significa che gli abili costruttori di Gobekli Tepe erano in azione oltre 6.000 anni prima che le popolazioni dell’Inghilterra sud occidentale iniziassero l’erezione del famoso complesso di Stonehenge.
Veduta d’insieme degli scavi di Gobekli Tepe con in primo piano il recinto D. L’insediamento risale al cosiddetto Neolitico preceramico. (Photo: Deutsches Archäologisches Institut)
Secondo Schmidt si tratterebbe di una sorta di santuario dedicato al culto della morte e, con essa, al ricordo e alla venerazione degli antenati. Un’interpretazione che ne fa in assoluto il più antico tempio del mondo, ma che non vede il consenso di tutti gli archeologi. Abbastanza condivisa, a tal proposito, l’idea che la forma a T dei pilastri sia una rappresentazione astratta del corpo umano visto di lato. Un’interpretazione suffragata dalla presenza su alcuni pilastri di braccia, mani e oggetti di abbigliamento, quali cinture e perizomi.
Simbolismo astronomico
Ancora dibattuta, invece, l’interpretazione del vero significato della varietà di animali raffigurati a Gobekli Tepe. L’idea sostenuta dagli archeologi direttamente impegnati negli scavi è che gli animali rappresentati sui pilastri di ciascun recinto seguano l’intenzione di enfatizzare le differenti specie in differenti recinti. Di tutt’altro avviso sono invece Martin Sweatman e Dimitrios Tsikritsis, ricercatori dell’Università di Edimburgo, che a fine aprile hanno pubblicato su Mediterranean Archaeology and Archaeometry un’interessante interpretazione in chiave astronomica, una dettagliata analisi al centro della quale si collocano il recinto D e il pilastro 43, il cosiddetto pilastro dell’avvoltoio.
Secondo Sweatman e Tsikritsis gli animali raffigurati sul pilastro sarebbero la raffigurazione di antiche costellazioni. Una rappresentazione zoomorfa che, ovviamente, non coincide con quella attuale, ma che i due ricercatori ritengono di riuscire a ricostruire ricorrendo alla valutazione della disposizione degli astri e all’analisi statistica della sua affidabilità. In tale valutazione, per esempio, l’avvoltoio corrisponderebbe all’attuale costellazione del Sagittario. Interpretando il disco che appare nel mezzo del pilastro, appena al di sopra dell’ala dell’avvoltoio, come la raffigurazione del Sole e impiegando Stellarium, un planetario virtuale che permette di ricostruire la volta celeste anche nel passato, i due ricercatori ricavano l’epoca della costruzione: le figure scolpite sul pilastro 43 potrebbero rappresentare la situazione corrispondente al solstizio d’estate del 10.950 a.C., una datazione davvero molto simile alle datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio.
Particolare del pilastro 43 del recinto D, noto anche come Pietra dell’avvoltoio. Il cerchio che appare appena al di sopra dell’ala dell’avvoltoio rappresenterebbe il disco solare.
(Photo: Klaus Schmidt – Deutsches Archäologisches Institut)
Sweatman e Tsikritsis, però, spingono la loro speculazione ancora più in là. La data emersa dalle considerazioni astronomiche, infatti, è incredibilmente vicina a quella suggerita da alcuni geologi per il cosiddetto evento del Dryas recente. Con il termine di stadiale del Dryas recente si indica un breve periodo geologico, protrattosi approssimativamente per 1.300 anni, caratterizzato da un notevole e brusco cambiamento climatico. Il nome gli viene dal fatto che fu lo studio della diffusione dei pollini del camedrio alpino (Dryas octopetala) a indicare che circa 13 mila anni fa si registrò un importante e repentino calo della temperatura. Secondo l’interpretazione proposta nel 2006 da Richard Firestone, Allen West e Simon Warwick-Smith nel libro The Cycle of Cosmic Catastrophes, il brusco cambiamento climatico all’origine del Dryas recente sarebbe da imputare all’impatto di un oggetto cometario. Tale ipotesi, benché avvalorata da precise analisi geologiche e prove concrete quali, per esempio, la scoperta di sferule magnetiche, nanodiamanti e anomale abbondanze di elementi chimici rilevate nei carotaggi dei ghiacci risalenti a tale periodo, è tutt’ora molto dibattuta.
Le ricerche antropologiche hanno dimostrato che, proprio in quel periodo, si verificò qualcosa che portò alla repentina scomparsa in Nord America della cosiddetta cultura Clovis. È chiaro che, in favore dell’ipotesi di Firestone e collaboratori, potrebbe risultare indubbiamente decisiva la scoperta di precise testimonianze archeologiche. Ebbene, Sweatman e Tsikritsis suggeriscono che una testimonianza cruciale potrebbe nascondersi proprio a Gobekli Tepe.
Pericolo dalle comete
All’inizio degli anni Ottanta, gli astronomi britannici Victor Clube e William Napier pubblicarono un libro dal titolo The Cosmic Serpent in cui suggerivano che, occasionalmente, grosse comete potessero entrare nel Sistema solare interno ed essere poi dirottate su orbite a breve periodo. La loro disgregazione per effetto della radiazione solare e delle forze di marea finirebbe col mettere in circolo sciami di pericolosi detriti, anche di notevoli dimensioni, che potrebbero costituire un grave pericolo per il nostro pianeta. In uno studio pubblicato nel 1994 su Vistas in Astronomy gli stessi ideatori e i loro collaboratori si riferiscono a questo scenario con il termine di “catastrofismo coerente”. In tale prospettiva, i due sciami meteorici dei Tauridi e oggetti asteroidali e cometari con orbite simili – tra i quali, per esempio, figurano la cometa di Encke e gli asteroidi Oljato, Heracles, Jason e Poseidon – sarebbero proprio i residui di un simile episodio verificatosi tra i 20 e 30 mila anni fa.
Anche se l’idea non ha mai incontrato il pieno consenso dell’intera comunità astronomica (si vedano, per esempio, le osservazioni suggerite da David Morrison), l’emergere dell’ipotesi di un impatto cometario come spiegazione del Dryas recente ha senza dubbio riportato in primo piano l’intuizione di Clube e Napier. Proprio ai membri di quella complessa popolazione di oggetti celesti, alla quale viene dato il nome collettivo di Taurid Complex, potrebbe infatti essere ricondotta anche la cometa responsabile dell’evento che ha cancellato la cultura Clovis.
Ebbene, nel loro studio interpretativo delle figure di Gobekli Tepe, Sweatman e Tsikritsis suggeriscono che l’intento che portò alla costruzione del santuario megalitico fu quello di erigere una sorta di memoriale di quell’evento così sconvolgente che diede il via al Dryas recente.
Particolare del pilastro 18 del recinto D che mostra una volpe incisa in prossimità del gomito destro di una figura umana. Secondo Sweatman e Tsikritsis, i simboli a forma di H nella parte sottostante rappresenterebbero la posizione di Vega e/o di Deneb, due stelle luminose che in epoche precedenti a Gobekli Tepe avrebbero potuto ricoprire il ruolo di stella polare (Vega intorno al 12.000 a.C. e Deneb intorno al 16.000 a.C.) e che i costruttori del complesso megalitico mantennero quale riferimento per definire il nord. (Photo: Erdinç Bakla)
La chiave di questa interpretazione è la lettura simbolica delle incisioni che compaiono sul pilastro 18, in particolare il significato che rivestirebbero la figura della volpe e quella del cinghiale. I due ricercatori, infatti, ritengono che le figure rappresentino due asterismi che attualmente sono accomunati nella costellazione dell’Acquario, due regioni del cielo in cui, tenendo conto del moto di precessione, intorno al 9.500 a.C. si collocavano i radianti dei due sciami meteorici dei Tauridi.
Questa chiave di lettura renderebbe dunque Gobekli Tepe un luogo di osservazione astronomica dedicato in modo specifico all’osservazione di comete e sciami meteorici, con i Tauridi al primo posto come importanza.
Conclusioni
Sweatman e Tsikritsis sono ben consapevoli del carattere altamente speculativo della loro ipotesi che collega Gobekli Tepe all’evento del Dryas recente e, con esso, al punto di vista del “catastrofismo coerente” di Clube e Napier, ma ritengono ugualmente possibile, al termine del loro studio, suggerire queste due conclusioni:
1. anzitutto considerano molto probabile il fatto che la popolazione che ha eretto Gobekli Tepe abbia per lungo tempo compiuto osservazioni astronomiche e che i bassorilievi degli animali simboleggino asterismi. Secondo questa lettura, il pilastro 43 è una sorta di datario che molto probabilmente si riferisce alla data 10.950 a.C. (± 250 anni).
2. ritengono altresì fondata, anche se non in modo altrettanto decisivo, l’interpretazione di altri simboli di Gobekli Tepe che collegano l’evento del Dryas recente a un drammatico incontro cometario. L’evento avrebbe talmente impressionato quelle popolazioni da indurle a considerarlo cruciale per il loro stesso sviluppo culturale anche millenni dopo i fatti. Una considerazione talmente profonda da indurli a costruire un complesso osservatorio astronomico che avesse anche la finalità di memoriale.
Per quanto speculativo, insomma, il quadro che emerge da questa interpretazione dei bassorilievi di Gobekli Tepe è certamente suggestivo, ma allo stesso tempo preoccupante. Piuttosto difficile, infatti, non prendere sul serio a questo punto le idee di Clube e Napier.
Per approfondire:
Osservazioni del team di archeologi coinvolti nello scavo di Gobekli Tepe all’interpretazione proposta da Sweatman e Tsikritsis.
Risposta di Martin Sweatman alle osservazioni.
Sito ufficiale su Gobekli Tepe del Deutsches Archäologisches Institut.
(fonte: scienzainrete.it)
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