DOVE VAI IN VACANZA? A CATANIA! – NEL SONTUOSO PALAZZO BISCARI…

DOVE VAI IN VACANZA? A CATANIA! – NEL SONTUOSO PALAZZO BISCARI, FORSE LA DIMORA PIÙ STUPEFACENTE DI UNA CITTÀ PREZIOSA, IL PRINCIPE IGNAZIO PATERNÒ, VISSUTO IN PIENO ‘700, IL SECOLO DELLA RAGIONE, AVEVA CREATO UN SUO MUSEO STRANO, PROIETTATO A CREARE UN MONDO NUOVO, PER SCOPRIRE QUALE SIA IL RAPPORTO NASCOSTO TRA MARE TERRA E CIELO. COSÌ È NATO “MONDO–MUSEO ARCHEOLOGICO DEL REALE” DI RENATO LEOTTA…

Luigi Ficacci, storico dell’arte, per Dagospia

Catania – Palazzo Biscari – “Mondo – Museo Archeologico del reale”, opera espositiva di Renato Leotta in Palazzo Biscari, curata da Gulli e Scammacca

Capita sempre più di frequente che lo spostamento vacanziero inibisca il fascino delle cose e dei luoghi. Già che il viaggio decada a ‘’spostamento’’, non aiuta. Poi le insoddisfazioni nevrotiche causate da troppa ressa, troppa disorganizzazione, troppa sporcizia, troppi disturbi … insomma, una quantità di ‘troppi’ che ottundono la meraviglia della prima volta.

Cosi, l’attesa del piacere estetico non si realizza. Anzi, si dissolve in un nulla del sentimento rispetto a quel contenuto di luoghi e cose. Comunque sia, si tratta di quel sottofondo inesauribile che una pagina di buona letteratura o un’immagine fotografica giusta riescono a suscitare e che invece all’esperienza reale di quelle stesse cose, di quegli stessi luoghi, può restare nascosto e non apparire affatto.

Perché proprio per afferrare uno spirito, un’anima, di Palazzo Biscari, forse la dimora più stupefacente di una città preziosa come Catania, ma dall’evidenza intermittente e silente, si sono messi in tre a cercare nei depositi del Castello Ursino.  

Sono Pietro Scammacca, curatore di arte contemporanea, con esperienze internazionali su potenti quanto segrete radici siciliane; Claudio Gulli, storico dell’arte, dalle raffinate competenze di alta formazione accademica, evolute in profondo impegno siciliano; Renato Leotta, artista dal linguaggio visivo netto come una sciabolata, ora puntato nell’intimo di materia e pensiero siciliani.

Si sono uniti, con umore filosofico integralmente magnogreco e, ciascuno nel proprio ruolo, hanno lavorato assieme come rabdomanti, concordi però nella chiarezza della finalità. Dal nulla insensibile che diagnosticavo prima, quello che pare rendere ottuse le cose e i luoghi, hanno così estratto la figura di Ignazio Paternò Castello, quinto Principe di Biscari, vissuto in pieno settecento, che per tutta Europa è il secolo della ragione.

Nel suo sontuoso palazzo, in una Catania ricostruita e proiettata verso una vita nuova e moderna, dopo lo sconvolgente cataclisma del 1693, terremoto, maremoto, eruzione, che l’avevano distrutta, ricoprendola di lava nera, aveva creato un suo museo strano, effetto di insaziabile curiosità verso la storia e la natura.

Il Principe era proiettato a creare un mondo nuovo, radicato nel suo palazzo e nella sua città. Perciò rincorreva i segreti dell’antichità archeologica del luogo e quelli altrettanto misteriosi della sua natura fisica, per fondarvi una scienza dell’uomo e della materia.

Precisare le sue ricerche alla sua terra e circoscriverle alla sua dimora era per lui una garanzia di esattezza empirica.  

Quando i risultati gli parvero sufficientemente consolidati di contenuti, oggetti archeologici e naturali, testimonianze molteplici, forme significative, nel 1758 lo rese visitabile,  istituendo uno dei primi musei a destinazione pubblica della Sicilia. Ma nei decenni successivi i progressi delle scienze produssero conoscenze, ipotesi e ordinamenti differenti, correggendo o smentendo molte delle sue convinzioni.

Col tempo, il Museo perse gradualmente di validità. Quando nel 1934 il Castello Ursino fu adibito a Museo Civico della città etnea, la collezione Biscari vi confluì come nucleo fondamentale. Ma logiche e categorie del sapere erano a quel punto completamente mutate, così da spezzettare quella correlazione che il Principe di Butera aveva tramato, per interpretare a modo suo un ideale enciclopedico, inseguito da molti, nel suo secolo.

Non comprendendo più questo ordine mentale, i metodi moderni avevano svalutato a fantasticheria l’aspirazione di Ignazio Paternò a comporre un mondo nuovo, basato sulle sue scoperte. Dissolta così l’utopia, il palazzo, che ne era lo scrigno, ne perse la voce. Gli oggetti dal valore riconoscibile, prevalentemente quelli archeologici, finirono inseriti nelle categorie novecentesche del museo civico, il resto decadde a curiosità e stranezza o finì in magazzino.

Lì e ricorrendo ai documenti, integrando con prestiti opportuni, i tre rabdomanti d’anima, hanno frugato, alla ricerca di quel sapere che oggi risulta molto prossimo al sogno, ricostituendone la filologia, orchestrandone una scrittura espositiva, creando un significato e un linguaggio da quella immaginazione del Principe che le categorie scientifiche moderne avevano annullato.

Ricostruire la nozione di una raccolta dispersa è operazione frequente all’erudizione. Aiuta a capire certe idee nel loro tempo e contribuisce a stabilire una storia del collezionismo. Ma se allo storico si unisce l’artista, assieme alla mano registica del curatore d’arte contemporanea, allora percorso e approdo si fanno radicalmente diversi.

Il museo perduto, le ipotesi fantastiche sulle leggi segrete che dominano il rapporto tra fisica -degli astri o della natura terrestre- e umanità, diventano allora la materia, linguistica e tecnica, dell’artista: il suo medium.

I significati risultano tutti rimescolati, perché i rabdomanti dell’anima si sono accordati sul tono del gioco e la sua regola, per provocare il rinnovamento dei significati. Questa è la mossa propria dell’arte, nella sua contemporaneità. Così è nato “Mondo – Museo Archeologico del reale”, opera espositiva di Leotta in Palazzo Biscari, curata da Gulli e Scammacca , il cui titolo è illuminante perché rivela l’originalità dell’operazione.

Quello spirito che cercavano e hanno recuperato è il lato fantastico della immaginazione del Principe. La sua validità consiste esclusivamente nella possibilità della sua reinvenzione artistica, perché solo l’arte, nella sua attualità assoluta può risarcire quella fantasia, appropriarsene e trasfigurarla, darvi validità di significati originali.

Nella temperatura torrida di questi giorni a Catania, risulta di un’attualità assoluta l’interrogativo su cui si articola la sezione di cose naturali, tanto del settecentesco Museo Biscari che della poetica contemporanea di Leotta. Entrambi e simultaneamente indagano per scoprire quale sia il rapporto nascosto tra mare, terra e cielo.

Nella mostra, sulla traccia delle tassonomie in cui il sapere empirico si organizza, fino dagli esordi della moderna scienza, una delle articolazioni dell’opera di Leotta è dedicata alla luna. Nello stesso palazzo, sono presentati, in perfetta continuità inventivo – ipotetica, le osservazioni delle tracce prodotte dai cicli lunari sul litorale terrestre, che Ignazio, V principe di Biscari, interpretava come sculture sovra umane, e le graficizzazioni eseguite da Leotta del moto ondoso sulle spiagge durante le basse maree.

Per la sua ricerca di realtà, senza alcuna alterazione dovuta all’intervento manuale, sono porzioni di sabbia estratta dalle configurazioni delle rive e trasferita negli stessi armadi del Museo Biscari, tradotti a spazio di esposizione. Ostensione scientifica e cornice allestitiva si identificano, perché l’arte ne unifica materia e linguaggio.

Scienza del principe settecentesco e concetto dell’artista del secolo attuale si legittimano nella lingua unificante della fantasia. E il fantasma da cui origina l’intera operazione estetica prende perfino figura fisiognomica, nel ritratto del Principe, una cera policroma che, imitando il vero con effetto illusivo di somiglianza rasente l’ironia, accoglie  il visitatore per sedurlo con le trame del Museo.

Il reale, che dal titolo della mostra corona e spiega con chiarezza inequivocabile l’arte di Leotta, è dunque l’invenzione della natura e della sua verificabile molteplicità segreta, alternativa alla presunzione delle scienze di ordinare il mondo secondo le proprie classificazioni.

Reale quindi è l’attributo dell’arte, veicolo (sortilegio, tecnica, linguaggio) per rinnovare l’utopia del Principe. A fine mostra, gli oggetti che torneranno nelle loro vetrine nel Museo Civico o nei suoi depositi e il Palazzo alla sua vita, non saranno più gli stessi, perché resteranno accesi.

Quando si cerca con questo metodo da rabdomanti dell’anima delle cose e dei luoghi, se ne trovano tracce tentacolari all’infinito. Infatti, dal “Mondo” di Palazzo Biscari, deriva un altro progetto espositivo di Leotta, ideato da Scammacca e da lui curato con Gulli. Questa volta nel vicino borgo di Centuripe, “Eros e Psyche”, che loro definiscono una costola del lavoro condotto a Catania.

Di lì, determinati a proseguire le loro rabdomanzie per la Sicilia, i tre trovatori di anima si sono dati un nome, spiritosamente accademico, di “Istituto Sicilia”, che indica una continuità e non sarebbe dispiaciuto a qualche discendente ottocentesco del Principe di Biscari. Con questo titolo promettono di ricomparire qua e la per l’isola, dove avranno trovato in materia e spirito la loro alternativa geografia del reale. 

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